antiche attrezzature da pesca - collezionismo
Il collezionismo

I perchè di una scelta

Quando una persona decide di dedicare buona parte del suo tempo libero (oggigiorno sempre più scarso), di profondersi in veri e propri sacrifici ( non parliamo essenzialmente di quelli economici) e di provare una vera e propria ossessione per gli oggetti del proprio culto, questa può essere definita un "collezionista".
Anche nel nostro campo (mulinelli e vecchie attrezzature da pesca) i perché non sono affatto dissimili.
Attorno a questa scelta, se vogliamo “maniacale”, sono nate diverse forme di azione che, sostanzialmente possiamo dividere in “col-lezionisti” e “commercianti”. Lungi da noi il biasimare l’uno o l’altro, ma la precisazione è doverosa: l’amore per il mulinello si trova, evidentemente, solo nei primi.
Sapere di possedere un oggetto raro, o magari unico, è un “brivido” che solo chi lo ama veramente può provare.
Costui non se ne disferebbe mai, se non in casi davvero e-stremi.

Tracciato quindi l’identikit del collezionista, proviamo a vedere un po’ da vicino l’evoluzione di questo mondo, così bizzarro ma così affascinante. Nonostante un oggetto, quando nasce, è già di per sé “collezionato”, negli ultimi anni abbiamo assistito ad un vero e proprio boom, quasi a livello di fenomeno, di tale pratica.
Molti hanno iniziato, o tuttora iniziano, con gli ABU, mulinelli svedesi di ottima fattura e robustissimi ma, tranne qualche eccezione, tutt’altro che rari. Col passare del tempo qualcuno si specializza in questo marchio, qualcun’altro su altri marchi esteri (Mitchell, Pezon e Michel, ecc.) comunque tutti famosi e molto apprezzati, ma la maggior parte finisce per ambire ai mulinelli italiani. Perché? Amor patrio a parte, i motivi sono semplici: si tratta di pezzi indubbiamente belli ed affascinanti che in qualche modo rispecchiano il nostro inconfondibile stile, ma so-prattutto, in non pochi casi, di difficilissimo reperimento e di costruzione “semi-artigianale”.
A ciò va aggiunta la loro mancanza dalla scena ormai da troppi anni. Infatti, negli anni ’70-’80, anche i più famosi marchi hanno dovuto chiudere i battenti, pressati dalla concorrenza dei paesi del Sol Levante.
Questo per quanto riguarda le grosse aziende, mentre le piccole manifatture hanno avuto vita ancora più breve ed, in taluni casi, limitata addirittura a pochi anni, gli ultimi del periodo pre-bellico.
I primi esemplari videro la luce verso la metà degli anni ’30 e parecchi di loro furono costruiti copiando altri mulinelli stranieri, soprattutto svizzeri, tedeschi ed inglesi.
Poco prima del conflitto mondiale, avvenne poi un fatto che contribuì certamente alla loro costruzione e diffusione: la proclamazione della legge autarchica. L’allora capo del governo, Benito Mussolini, con questa legge stabilì, in sostanza, di proibire l’importazione di svariati generi di merci: dovevamo farceli da noi.
Una legge che, vista con gli occhi di noi appassionati di mulinelli, che viviamo ormai nel millennio successivo, fu una vera e propria benedizione, visto che senza di lei non avremmo (forse) avuto parecchi “pezzi da novanta”.
Ed arriviamo così verso la fine della guerra, dove assistiamo allo svilupparsi delle prime grandi aziende (Alcedo, Zangi, Cargem, Nettuno).
La Cargem, ad esempio, prima del secondo conflitto mon-diale, col nome “Meccanica di precisione”, produceva parti di aerei. Alla fine del conflitto la esangue economia italiana si trovò, ironia della sorte, con un eccesso di manodopera e gli stabilimenti risparmiati dai bombardamenti completamente da riadattare. Ecco che, complice un briciolo di benessere che cominciava a permettere lo svolgersi di qualche hobby, subentra il tipico ingegno italiano. Alcuni stabilimenti vengono riadattati per la produzione di altri generi, ed in alcuni casi anche di mulinelli.
Negli anni ’50 e ’60 la produzione italiana tocca l’apice, negli anni ’70 inizia il triste declino già visto in precedenza.
Ringraziando l’amico Silvano Baraldi, dalle cui pubblicazioni ho attinto alcune preziose notizie, vorrei concludere con una (forse scontata) domanda/riflessione: Perché parliamo, oltre che di un oggetto, anche di tutto ciò che gli gravita attorno ed, in primis, della sua storia?
Perché al vero collezionista, al vero amante del mulinello, tutto ciò importa tanto quanto il pezzo medesimo. Catalogarlo con tutte le informazioni possibili, come il luogo e l’anno di costruzione, il nome della ditta o dell’artigiano che lo produceva ed ogni storia ed aneddoto a lui collegato, è il vero modo col quale il collezionista con la “C” maiuscola può raggiungere il suo scopo.

Lunga vita al mulinello.

di Roberto Granata

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